Ci sono libri che leggo per me e libri che leggo per qualcun altro, anche se quel “qualcun altro” non è ancora pronto, o nemmeno interessato, o magari è solo un’idea che mi porto dietro.
Di fuoco e seta è stato uno di quei libri letti con mio figlio in mente. L’ho scoperto per caso, in un consiglio sparso su un gruppo di lettura online. Qualcuno ne parlava come di un libro “giusto” per i lettori giovani, ma anche pieno di spessore per gli adulti. E questo per me è sempre un buon segnale.

Non sapevo bene cosa aspettarmi, ma il titolo e la copertina mi avevano già detto qualcosa. Rosso, fuoco, tessuto, tempo che si intreccia. Ho iniziato a leggere con curiosità, pensando “forse sarà una di quelle storie da tenere in un cassetto, per quando arriverà il momento”.

La storia

La struttura è quella classica ma sempre potente del doppio binario temporale.
Nel presente c’è Lianna, una ragazza che affronta il dolore della perdita della madre, in un’estate che ha il sapore delle cose sospese. Nel passato c’è Alvise, un ragazzo del 1859, in pieno Risorgimento italiano, coinvolto in eventi più grandi di lui. A unire questi due mondi c’è Asé, un uomo anziano che, raccontando ad alta voce, ricuce spazi, persone, storie.

È un romanzo di formazione, sì. Ma anche un libro che parla di lutto, di scelte, di silenzi familiari, di parole da trovare. E lo fa con delicatezza, senza bisogno di urlare o semplificare.

La scrittura

Il linguaggio è diretto, accessibile, ma non superficiale.
Castagna ha uno stile asciutto che però non perde mai la capacità di evocare immagini e sensazioni. Le descrizioni non si dilungano, ma bastano. I dialoghi funzionano, i capitoli scorrono, ma lasciano spazio al pensiero.
L’ho letto in pochi giorni, con quella sensazione di essere in buone mani: nessuna forzatura, solo una narrazione onesta.

Mi è piaciuto il ritmo calmo ma costante, il modo in cui i personaggi si rivelano senza fretta. Ho apprezzato molto il fatto che i protagonisti siano giovani, ma non trattati con leggerezza. Sono veri, fragili, vivi.
E ho amato il tono del racconto: misurato, rispettoso, empatico.
Non cerca di impressionare. Ti accompagna.

Forse alcune parti storiche, per un lettore più giovane, risultano un po’ distanti o complesse. Alcuni nomi, contesti, dinamiche risorgimentali richiedono un minimo di guida. Ma non l’ho vissuto come un difetto. Al contrario, è un’opportunità per fare domande, per aprire conversazioni.

Perché lo terrei da parte

Perché mi è sembrata una storia giusta. Non perfetta, non “geniale”, ma sincera.
Di quelle che potrebbero risuonare in un ragazzo che cerca di capire cosa vuol dire crescere.
Che potrebbe accendere domande, o semplicemente far compagnia in un momento giusto.
Di quelle che magari non si leggono tutte d’un fiato, ma che restano, come certe estati che sembrano sospese.

Per questo, lo metto da parte.
Per quando mio figlio sarà pronto.
O per quando vorrà, semplicemente, una storia che parli piano.

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