Questo è l’ultimo libro che ho raccontato prima di entrare nel territorio luminoso e poetico dello stilnovo. Ma per capirlo davvero, vale la pena fermarsi un attimo su Bono Giamboni, un autore che lavora più con la morale che con i versi, eppure prepara il terreno su cui fiorirà la nuova scuola poetica.
Il progetto
Il Libro de’ vizi e delle virtudi (circa 1270) è una sorta di bussola morale in forma narrativa. Non un trattato polveroso, ma un racconto allegorico in cui Virtù e Vizi diventano personaggi, si muovono, parlano, insegnano. È filosofia tradotta in immagini vive, pensata per chi leggeva in volgare e voleva capire come orientarsi nella vita quotidiana.
Lo stile
Bono era giudice, quindi la chiarezza gli scorreva in vena. Ma oltre alla precisione, qui c’è anche immaginazione: allegoria, personificazioni, piccoli scenari che rendono l’etica più concreta. È un ponte tra la dottrina alta e l’esperienza comune.
Perché conta
Con questa opera, Bono crea la prima grande trattazione etico-dottrinale autonoma in volgare. Non sta più solo traducendo i classici latini (come fece con Vegezio o Orosio), ma propone qualcosa di nuovo, originale, fatto su misura per i lettori italiani del Duecento.
Perché leggerlo oggi
Perché è un manuale medievale di auto-aiuto, ma senza frasi motivazionali da Instagram. È un testo che prova a insegnare come vivere bene attraverso storie, immagini e simboli. In fondo, non è lontano da quei podcast che ci raccontano filosofia pratica o psicologia in pillole.
Curiosità
- Bono Giamboni è stato un importante volgarizzatore, uno dei primi a credere davvero nel potere del volgare come lingua di cultura.
- Il Libro de’ vizi e delle virtudi è considerato la prima opera dottrinale autonoma scritta in volgare.





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