Ho deciso di leggere le Rime di Cino da Pistoia perché, dopo Guinizzelli, Cavalcanti, Dante e Lapo Gianni, volevo capire come lo stilnovo si trasformasse passando di mano in mano, fino ad arrivare alla soglia del Trecento. Cino non è solo un poeta: è anche un giurista, un intellettuale impegnato, uno che dialoga con Dante e apre la strada a Petrarca. In un certo senso, è un ponte vivente tra il Medioevo e l’Umanesimo.
Contesto e movimento
Siamo ormai a cavallo tra Duecento e Trecento: Firenze è in fermento politico e culturale, e Pistoia – città di Cino – non è da meno. Lo stilnovo aveva già detto molto, ma con Cino si percepisce un cambiamento. Mentre Guinizzelli aveva filosofato sull’amore e Cavalcanti ne aveva mostrato il lato oscuro, Cino inizia a renderlo più intimo, più personale, già vicino alla sensibilità di Petrarca.
Temi e trama poetica
Il centro resta l’amore, ma l’accento non è più solo sul “cor gentile” o sulla donna angelicata come tramite per il divino. In Cino l’amore diventa esperienza vissuta, con gioie e dolori concreti, emozioni terrene. C’è malinconia, c’è introspezione, c’è quella tensione psicologica che lo avvicina più all’Umanesimo che al Medioevo.
Stile e linguaggio
La lingua di Cino è elegante, sobria, meno drammatica di Cavalcanti e meno visionaria di Dante. Si avverte una dolcezza più pacata, quasi intima, che rende le sue rime scorrevoli e piacevoli da leggere. Allo stesso tempo, manca forse quella potenza innovativa che caratterizzava i grandi nomi dello stilnovo: sembra più un raffinatore che un rivoluzionario.
Punti positivi e negativi
Il positivo è chiarissimo: Cino ci mostra la transizione. Leggendolo, capisci come si passa dallo stilnovo a Petrarca, dal Medioevo all’età moderna. È un poeta-ponte, e questo lo rende prezioso.
Il lato negativo è che, proprio perché “di mezzo”, a volte risulta meno memorabile. Non ha la forza speculativa di Guinizzelli, né il pathos di Cavalcanti, né l’universalità di Dante. È più discreto, quasi sommesso.
La mia esperienza di lettura
Leggere Cino è stato come scoprire la “cerniera” della tradizione. Non mi ha sorpreso con immagini sconvolgenti, ma mi ha fatto vedere la continuità: come certi temi stilnovisti si trasformano in una nuova sensibilità più umana, più fragile, più vicina a noi. È stata una lettura che mi ha insegnato più sulla storia della letteratura che sull’impatto emotivo della poesia. Ma a volte è proprio questo che cerchi: capire i passaggi, gli snodi, le trasformazioni.





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