disponibile su Netflix

Avevo già visto The Good Place tanti anni fa e l’avevo lasciata in quell’angolino della memoria dove teniamo le serie che ci hanno fatto sorridere ma che non abbiamo mai avuto il coraggio di rivedere. Poi un giorno mentre sistemavo il blog mi è venuto quel pensiero insistente che diceva questa qui merita di essere registrata come si deve. Così ho deciso di tornarci come si torna in una città che conosci già anche se ogni volta sembra diversa perché sei cambiata tu.

La trama

La storia comincia con Eleanor che si risveglia nell’aldilà e scopre di essere finita nel posto buono una specie di quartiere perfetto dove tutto funziona con precisione quasi sospetta. Lei però sa benissimo che non dovrebbe essere lì perché nella vita non è stata proprio un esempio di generosità. Così inizia a fingere di meritarsi quel paradiso e allo stesso tempo prova a migliorarsi davvero anche se con una goffaggine tenera e disastrosa.

Il bello è che non è sola in questa confusione. Gli altri personaggi portano con sé insicurezze e segreti che vengono fuori piano piano e il mondo intorno a loro comincia a mostrare piccole crepe. La serie diventa una specie di laboratorio etico pieno di risate dove ognuno cerca la propria versione migliore mentre l’ambiente li mette alla prova.

Stile visivo e direzione

La direzione mantiene la morbidezza delle sitcom ma aggiunge dettagli che fanno sembrare il mondo dell’aldilà troppo perfetto per essere reale. Le case i colori i giardini tutto brilla come un catalogo di felicità prefabbricata e questa estetica quasi artificiale è parte del gioco. La macchina da presa ama le simmetrie e gli spazi ordinati che sembrano sorridere e questo rende ancora più evidente quella sensazione di qualcosa che non quadra.

Rivista con occhi più attenti la serie mostra quanto sia profondamente legata alle teorie morali. Flirta con la filosofia di Kant con l’utilitarismo e con un modo tutto suo di spiegare come le nostre scelte siano sempre influenzate dagli altri. C’è una vena sociologica forte che ricorda che nessuno diventa buono in solitudine e che l’etica è sempre una conversazione tra individuo e contesto.

Punti di forza e punti deboli

Tra i punti positivi ci sono il ritmo del racconto la scrittura dei personaggi e il modo in cui la serie riesce a essere divertente senza perdere profondità. Le trasformazioni dei protagonisti sono lente credibili e piene di piccole cadute che le rendono ancora più vere.

I punti deboli compaiono quando la serie spiega un po’ troppo ciò che potrebbe restare implicito e quando qualche battuta arriva nel momento meno opportuno.

La mia esperienza nel rivederla

Tornare a The Good Place è stato come aprire una scatola di ricordi e trovare dentro un profumo che riconosci subito. Ho rivisto dettagli che mi erano sfuggiti e ho sentito la serie parlare con versioni più recenti di me quelle che hanno altre domande altri timori e altre speranze. È stato quasi un piccolo dialogo con il passato.

Alla fine The Good Place non è solo una serie sull’aldilà. È una storia che ci ricorda quanto sia complicato cercare di diventare migliori quanto servano tempo pazienza e persone che ci spingono avanti. Metterla nel blog era inevitabile perché certe storie meritano un posto fisso non solo nella memoria ma anche negli spazi dove raccontiamo chi siamo diventati rivedendole.

Lascia un commento

In voga