Ho scelto di leggere la Monarchia perché volevo capire il lato politico di Dante, quello che scrive non come poeta innamorato o pensatore in esilio, ma come cittadina del mondo, con una visione quasi utopica dell’ordine umano. È un Dante diverso ma riconoscibile, lo stesso bisogno di armonia che cercava in amore o nel sapere, qui si sposta nella società, nella convivenza tra potere e spiritualità.
Il momento
Siamo dopo la morte di Arrigo VII, l’imperatore in cui Dante aveva riposto le sue ultime speranze di rinnovamento politico. L’Italia è frammentata, la Chiesa è potente, e lui, sempre in esilio, decide di scrivere un trattato in latino, la lingua della riflessione universale.
La Monarchia nasce così, come un manifesto appassionato sulla necessità di un equilibrio tra potere spirituale e potere temporale.
L’idea di fondo
Dante immagina un mondo retto da una monarchia universale, non nel senso tirannico del termine, ma come forma di ordine perfetto capace di garantire pace e giustizia. Secondo lui, solo un potere unico e imparziale può permettere all’umanità di realizzare i propri ideali più alti.
È una visione quasi cosmica della politica, l’imperatore e il papa non devono scontrarsi ma convivere, ognuno con la propria missione.
Due poteri, due fini
Il papa guida le anime verso la beatitudine eterna.
L’imperatore, invece, ha il compito di condurre gli esseri umani alla felicità terrena. Due percorsi diversi, ma entrambi voluti da Dio e soprattutto, autonomi. Il potere imperiale, dice Dante, non deriva dal papa, ma direttamente da Dio. È un’affermazione fortissima per l’epoca, quasi una rivoluzione teologica travestita da ragionamento politico.
Roma come centro simbolico
Per Dante, tutto deve partire da Roma. Non tanto per nostalgia imperiale, ma perché Roma rappresenta il punto d’incontro tra fede e storia, l’Impero che prepara la via al Cristo. La Monarchia è anche questo, un tentativo di ricucire il passato con il presente, l’umano con il divino, la terra con il cielo.
La mia lettura
Leggere la Monarchia mi ha fatto pensare a quanto Dante fosse visionario. Parla di giustizia e libertà ma sempre in un linguaggio che tende all’assoluto.
Mi ha colpita la fiducia che ripone nella ragione, nella possibilità di un ordine universale fondato non sulla forza, ma sull’equilibrio. E mi ha fatta riflettere su quanto sia moderno il suo bisogno di separare il potere spirituale da quello politico, una battaglia che, in fondo, non abbiamo ancora del tutto finito.
La Monarchia non è un testo semplice, ma è uno di quelli che ti aprono una finestra su un Dante che raramente si mostra, non più solo poeta o filosofo, ma cittadino del mondo, che sogna un’umanità capace di convivere nella giustizia e nella pace. È un sogno antico, sì, ma ancora incredibilmente necessario.





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