Eccoci finalmente al primo giorno del nostro Calendario dell’Avvento Letterario, e non potevamo iniziare in modo più classico (ma mai banale) di così: con “Il Canto di Natale” di Charles Dickens. Un libro che, come le lucine dell’albero, risplende ogni anno e riesce sempre a scaldarci il cuore.
Ma di cosa parla davvero questa storia, oltre alla famosa redenzione di Ebenezer Scrooge? Per chi non lo sapesse (o per chi, come me, ama ritornarci ogni Natale), “Il Canto di Natale” ci porta nella fredda e nebbiosa Londra vittoriana, dove incontriamo Scrooge: un uomo ricco, solitario e… diciamolo, abbastanza detestabile. Per Scrooge, il Natale è solo una perdita di tempo e di soldi, niente più che “baggianate” (o il suo iconico “Bah, humbug!”). La notte della vigilia, però, tutto cambia. Viene visitato dallo spirito del suo vecchio socio in affari, Jacob Marley, che gli annuncia l’arrivo di tre spiriti: il Fantasma del Natale Passato, Presente e Futuro. Ed è qui che il viaggio di Scrooge comincia davvero, tra i ricordi dolorosi del passato, la tristezza e la povertà che si consumano nel presente, e la prospettiva di un futuro freddo e solitario, in cui nessuno piangerà la sua morte. Ma non è incredibile come, proprio attraverso queste visioni, la storia ci ricordi che abbiamo sempre la possibilità di cambiare? E che la vera ricchezza non si misura in monete, ma in empatia e generosità?
Confesso che ogni volta che rileggo “Il Canto di Natale”, mi scopro a riflettere su quanto sia facile cadere nella trappola di Scrooge. Certo, forse non siamo tutti degli avari dichiarati come lui, ma quanti di noi non perdono di vista le cose importanti nella frenesia quotidiana? Quanti Natali passiamo con la mente altrove, dimenticando che questo è il momento per rallentare, riconnettersi, e apprezzare chi ci sta intorno? Quest’anno, leggere questa storia con i miei figli ha aggiunto una nuova prospettiva. Loro sono ancora piccoli, vivono il Natale con occhi pieni di meraviglia, e Scrooge, per loro, è solo l’uomo cattivo che poi diventa buono. Eppure, in quella semplicità, c’è una lezione potente: possiamo sempre trovare il nostro Natale dentro di noi, basta solo volerlo.
Ma parliamo un po’ di Dickens. Lo sapevi che quando scrisse “Il Canto di Natale” nel 1843, stava attraversando una crisi personale e finanziaria? Nonostante il successo dei suoi romanzi precedenti, Dickens si trovava sommerso dai debiti. Questa storia, scritta in fretta per guadagnare soldi, divenne immediatamente un successo, vendendo migliaia di copie nelle prime settimane. E ironicamente, “Il Canto di Natale” risollevò non solo la sua situazione economica, ma anche la sua reputazione. Dickens, inoltre, aveva un profondo senso di giustizia sociale. Londra, in quegli anni, era un luogo di grandi disuguaglianze: ricchi che vivevano nel lusso, e poveri che morivano di fame. Attraverso la storia di Scrooge, Dickens denuncia proprio questo: l’indifferenza verso chi ha meno, l’avidità che acceca e la possibilità di redenzione attraverso la generosità. Non è un caso che il piccolo Tim, il figlio malato di Bob Cratchit, sia il simbolo dell’innocenza e della speranza. È lui che, con il suo famoso “Dio benedica tutti quanti!” (che poi è la frase più natalizia di sempre), rappresenta la vera anima del Natale.
Se ci pensi, “Il Canto di Natale” è una storia di fantasmi, ma non nel senso tradizionale. Certo, ci sono gli spettri letterali che tormentano Scrooge, ma i veri fantasmi sono quelli che ognuno di noi porta dentro: i rimpianti, le scelte sbagliate, le cose non dette. Ecco perché il Fantasma del Natale Futuro è così inquietante: non parla mai, ci lascia con quella sensazione di inevitabilità, come a ricordarci che il tempo scorre, e sta a noi decidere se usarlo per costruire qualcosa di bello o sprecarlo in solitudine.
Quello che più amo di questa storia è come riesce a mostrarci il Natale da diverse prospettive. C’è il Natale dei ricchi, come Scrooge, che lo vedono solo come un altro giorno di affari. C’è il Natale dei poveri, come i Cratchit, che pur avendo poco, hanno l’amore e la compagnia della famiglia. E poi c’è il Natale del passato, che ci ricorda le tradizioni che abbiamo lasciato indietro, e il Natale del futuro, che ci fa immaginare che tipo di mondo vogliamo lasciare. Alla fine, “Il Canto di Natale” ci insegna che non importa da dove veniamo, quanto abbiamo o quanto abbiamo sbagliato: il Natale è il momento in cui possiamo fermarci, riflettere e scegliere di essere migliori.
Quindi, se non hai ancora letto questo classico (o se è passato tanto tempo dall’ultima volta), ti invito a riscoprirlo sotto una nuova luce. È una storia che, anche se conosciamo già a memoria, riesce ogni anno a farci sentire qualcosa di diverso.
🎅📖✨ Ci vediamo domani per il secondo giorno del nostro Calendario dell’Avvento Letterario. E chissà quale storia ci aspetta!
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