Disponibile su Netflix
Non l’ho scelta perché era di tendenza. L’ho scelta perché avevo voglia di vedere una protagonista che non fosse “facile da amare”. Qualcosa mi attirava in questa Vicky che sembra sempre sul punto di rovinare tutto, come se il caos fosse una forma d’identità. E poi, avevo bisogno di una storia che parlasse di donne, desiderio, e quel sentimento piccolo e scomodo che ci vergogniamo di nominare: l’invidia.
La trama e i temi
La storia ruota attorno a Vicky, interpretata da una straordinaria Griselda Siciliani, una donna che si ritrova sola dopo la fine di una lunga relazione, mentre le sue amiche si sposano, fanno figli, costruiscono vite che sembrano perfette da fuori. Vicky invece rimane lì, in una sospensione dolorosa, oscillando tra il desiderio di ricominciare e la rabbia per non essere riuscita a “sistemarsi” come tutti si aspettano. Incontra due uomini molto diversi, il capo elegante e distante e un ragazzo semplice e gentile che lavora in una rosticceria, ma in fondo la relazione più importante della serie è quella che ha con se stessa, ed è una relazione complicata.
Il titolo non mente: Envidiosa non parla solo di amore o di relazioni, ma di quel sentimento scomodo e tabù che è l’invidia. Quella che proviamo verso le persone che amiamo, verso chi ha fatto scelte diverse, verso chi sembra più felice di noi. Ma la serie non giudica, mostra e ci costringe a guardarci. L’invidia diventa un modo per parlare di identità, di fallimento, di aspettative sociali e personali. E anche, silenziosamente, di salute mentale.
Stile e regia
Regia sincera, senza effetti vistosi. La serie ha uno stile realistico, quasi da diario personale. La camera segue i personaggi con discrezione, spesso lasciando silenzi che parlano più di mille battute. Buenos Aires è più di uno sfondo: è un personaggio silenzioso, malinconico, bellissimo e stanco. La regia fa spazio all’imperfezione con scene lunghe, dettagli domestici, gesti quotidiani. C’è qualcosa di molto umano e poco “costruito”.
Pregi e difetti
La scrittura è brillante, tagliente, spesso ironica senza mai diventare cinica. La regia accompagna senza invadere. Le interpretazioni sono tutte solide, con momenti di pura verità. Ma non è una serie per tutti, alcuni potrebbero trovarla lenta, troppo focalizzata sulla crisi e poco sulle soluzioni. Altri potrebbero non sopportare Vicky e mollare tutto a metà. Ma chi resta, trova qualcosa. Non una morale, non una lezione. Qualcosa di più sottile: uno specchio rotto, che riflette solo a pezzi. Ma che riflette, eccome.
La mia esperienza nel guardarla
Guardare Envidiosa è stato come stare in una stanza con un’amica che non sai se stai cercando di consolare o di evitare. Ogni episodio mi lasciava addosso una specie di inquietudine, ma anche una forma di tenerezza. Perché Vicky è insopportabile, è impulsiva, dice cose orribili e rovina tutto. Ma è anche tremendamente vera. E in un panorama televisivo dove spesso i personaggi femminili devono essere forti, ironiche, resilienti, lei invece cade. E basta. Senza eleganza. Senza riscatto immediato. Solo umanità.
Ho pensato molto a quanto sia difficile accettare una protagonista che non ci fa sentire meglio con noi stesse. Ma forse è proprio per questo che ho continuato a guardare. Perché in quel suo esagerare, nel suo sabotarsi, c’è qualcosa che conosciamo bene. Forse non lo viviamo allo stesso modo, ma lo riconosciamo. E lo temiamo.
Envidiosa è una serie che ti fa compagnia mentre ti fa male. Una storia che non promette catarsi, ma che sa stare nel disagio. Non cerca di piacere. E forse è proprio per questo che, alla fine, lascia un segno. Se ami il cinema che si prende il rischio di essere sgradevole per essere sincero, allora questo è un viaggio che vale la pena fare.





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