Ho scelto Mercoledì su Netflix perché mi sembrava qualcosa di più di un teen drama con sfumature dark. C’era il fattore Tim Burton, certo, ma soprattutto quella promessa di un’estetica gotica aggiornata, che gioca con l’archetipo dell’outsider in un mondo dove tutti vogliono essere perfettamente “normali”. E poi… la Famiglia Addams non è mai stata solo intrattenimento: è un simbolo culturale, un contro-specchio della famiglia tradizionale.
La trama (senza spoiler)
La serie segue Mercoledì Addams durante la sua permanenza alla Nevermore Academy, un collegio che ospita studenti “fuori norma”. Il racconto combina mistero, ironia nera, conflitti adolescenziali e soprannaturale. La prima stagione mette le basi, la seconda espande e complica le dinamiche, aggiungendo la famiglia, nuovi antagonisti e un mondo che va oltre le mura della scuola.
Le stagioni
La prima stagione introduce l’universo narrativo e la protagonista: il ritmo è altalenante, ma la forza estetica e il carisma di Jenna Ortega funzionano come vero magnete. È una sorta di origin story, un’introduzione lenta che costruisce il mondo e i suoi codici visivi, puntando molto sul “marchio Burton”.
La seconda stagione invece accelera: più horror gotico, meno spazio al romance, più attenzione alle relazioni femminili e alle conseguenze delle scelte di Mercoledì. Il ritmo è più ambizioso, a volte congestionato, con tante sottotrame che rischiano di perdersi nella complessità. Sul piano estetico cerca una propria identità, più cupa e meno ironica, segnando la transizione tipica delle serie che vogliono durare a lungo: consolidare un immaginario e poi espanderlo.
Anche la protagonista cambia volto: nella prima stagione è outsider assoluta, nella seconda viene problematizzata, costretta a fare i conti con contraddizioni e responsabilità. In questo senso, Mercoledì diventa quasi un manuale della serialità contemporanea: partire da un’estetica potente per conquistare lo spettatore, poi complicare il mondo narrativo per garantirsi continuità. Il rischio è diluire l’impatto iniziale; la sfida, trasformare quella potenza visiva in vera sostanza narrativa.
Stile e regia
L’impronta di Burton nei primi episodi della prima stagione è fortissima: chiaroscuri espressionisti, prospettive distorte, atmosfere sospese. La seconda stagione, pur con altri registi, cerca di non perdere quella matrice ma la spinge verso un registro più cupo e orrorifico. La scenografia e i costumi rimangono il filo conduttore che dà coerenza visiva all’intero progetto.
Nevermore non è soltanto una scuola, ma una piccola società dove si vede bene come funziona il meccanismo del potere: chi rientra nella normalità ha sempre un vantaggio, mentre chi è diverso viene etichettato, a volte come minaccia, a volte come risorsa preziosa. È questo gioco continuo tra esclusione e appartenenza che rende la serie più interessante di un semplice racconto adolescenziale.
Punti di forza
- Jenna Ortega: performance ipnotica.
- Estetica gotica: coerenza visiva e ricchezza di dettagli.
- Colonna sonora: il violoncello come cifra emotiva.
- Espansione narrativa (stagione 2): più complessità nelle relazioni e nuovi personaggi significativi.
Limiti e critiche
- Trame secondarie a volte dispersive.
- Oscillazione di tono: horror e teen drama non sempre ben amalgamati.
- Discontinuità estetica tra episodi di registi diversi.
- La riduzione del romance è coraggiosa ma talvolta lascia un vuoto narrativo.
La mia esperienza
Guardando entrambe le stagioni, ho provato due sensazioni diverse: la prima mi ha incantato con la sorpresa e l’atmosfera; la seconda mi ha coinvolto con la densità, anche se a volte mi ha fatto sbuffare per eccesso di trame. Ma alla fine, mi sono resa conto che Mercoledì riesce a fare quello che poche serie teen ottengono: mettere al centro un’eroina che non sorride per piacere, che trasforma l’essere strana in linguaggio.





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