Ci sono libri che non urlano paura, ma la sussurrano piano, come un passo dietro di te in una strada deserta. La maledizione di Melmoth di Sarah Perry è così, un romanzo che prende l’eredità del gotico ottocentesco e la trapianta nel presente, trasformando la leggenda in una figura che ci osserva sempre, da lontano.
Che cos’è l’horror gotico?
Prima di parlare di Melmoth, vale la pena fermarsi un attimo su questo genere che sembra antico, ma che in realtà continua a contagiare la cultura pop. L’horror gotico nasce nel Settecento, quando Horace Walpole scrive Il castello di Otranto (1764): un miscuglio di castelli in rovina, corridoi bui, presenze spettrali e segreti di famiglia. Da lì in poi arrivano Frankenstein di Mary Shelley, Dracula di Bram Stoker, Il monaco di Matthew Gregory Lewis.
Il gotico non è solo paura, è soprattutto atmosfera. Più che farti saltare sulla sedia, ti fa sentire un peso addosso, come se le pietre del castello respirassero insieme a te. I temi ricorrenti sono la colpa, la trasgressione, il peccato che ritorna a chiedere conto. Ci sono quasi sempre luoghi simbolici, torri, cripte, case labirintiche, città che sembrano vive. E c’è una figura che osserva, un fantasma del passato che si insinua nel presente.
Per questo il gotico è così affascinante: non parla solo di mostri “là fuori”, ma del lato oscuro che ci accompagna da sempre. È un genere che ha influenzato di tutto, dai romanzi vittoriani ai film di Tim Burton, fino alle serie contemporanee come Penny Dreadful o Mercoledì.
La trama
Melmoth nasce in realtà nell’Ottocento, con Charles Maturin: un uomo condannato a vagare senza pace, testimone delle colpe dell’umanità. Sarah Perry riprende quel mito e lo porta nella Praga contemporanea, una città che da sola sa essere teatro gotico, con le sue pietre, le sue nebbie e i suoi fantasmi storici. Qui incontriamo Helen Franklin, una studiosa che conduce una vita volutamente grigia, finché un collega le consegna un misterioso dossier che parla di apparizioni, colpe e di una donna vestita di nero che non smette di camminare accanto agli uomini.
Non è un romanzo “d’azione” nel senso tradizionale: Perry lavora sull’atmosfera, sul senso di colpa che diventa presenza tangibile. I documenti che Helen legge – testimonianze di epoche e luoghi diversi – sono piccole storie dell’orrore morale: persecutori, traditori, carnefici che, dopo aver scelto, si sentono seguiti da Melmoth. È un orrore che non esplode mai, ma che si insinua: ogni pagina porta con sé la domanda su cosa significhi convivere con le proprie colpe.
Lettura critica
Qui il gotico non è fatto di castelli in rovina o di vampiri eleganti, ma di coscienza. Melmoth è la personificazione di tutto ciò che cerchiamo di dimenticare: le nostre omissioni, le scelte che ci hanno fatto voltare lo sguardo dall’altra parte. Non è un mostro esterno, ma lo specchio che non vogliamo guardare. Perry scrive con una sobrietà elegante, a volte glaciale, che rende la lettura quasi ipnotica. È un romanzo che non punta al colpo di scena, ma alla lenta corrosione interiore.
Perché leggerlo a Halloween
Halloween è la festa in cui i confini si assottigliano: tra vivi e morti, tra luce e buio, tra ciò che mostriamo e ciò che nascondiamo. La maledizione di Melmoth è perfetta perché ci ricorda che i fantasmi più spaventosi non sono fuori, ma dentro di noi. Non c’è maschera che tenga, non c’è zucca che illumini abbastanza: ognuno ha una Melmoth che cammina silenziosa al proprio fianco.
Curiosità
– Melmoth, nella tradizione originaria, era una figura maschile: Perry lo reinventa come donna, rendendola ancora più inquietante nella sua muta presenza.
– Praga non è solo ambientazione, è un personaggio a tutti gli effetti, con la sua memoria di persecuzioni, processi e segreti.





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