Per il quarto giorno del calendario ho scelto di parlare di horror psicologico, quello che non ha bisogno di fantasmi o demoni, ma si nutre della mente, della paranoia e della claustrofobia. E quando penso a questo sottogenere, il titolo che mi viene subito in mente è Misery di Stephen King, pubblicato nel 1987 e diventato un film cult nel 1990 con una Kathy Bates indimenticabile.
Che cos’è l’horror psicologico?
A differenza del gotico (giorno 1), che lavora con atmosfere e colpe antiche, o dello slasher (giorno 2), che usa coltelli e sangue, l’horror psicologico si insinua nella mente. Non ci sono mostri esterni, ma paure interiori:
– la perdita del controllo;
– la prigionia;
– il dubbio su cosa sia reale e cosa no;
– il potere che un’altra persona può esercitare sulla nostra psiche.
È un orrore che non ti fa sobbalzare con un jumpscare, ma che ti accompagna lentamente, lasciandoti inquieto anche dopo aver chiuso il libro o spento lo schermo.
La trama di Misery
Paul Sheldon è uno scrittore famoso per i suoi romanzi rosa, con protagonista la bella Misery. Dopo un incidente d’auto in una zona isolata, viene soccorso da Annie Wilkes, infermiera e sua fan numero uno. Paul si risveglia a casa di Annie, ferito e immobilizzato a letto. All’inizio sembra una salvezza, ma presto si accorge che Annie non ha nessuna intenzione di lasciarlo andare.
Quando scopre che Paul ha “ucciso” Misery nell’ultimo libro, Annie esplode in una furia incontrollabile e lo costringe a riscrivere la storia. Da lì inizia una prigionia fatta di manipolazioni, minacce e torture. L’orrore non è soprannaturale: è la mente disturbata di Annie, capace di trasformare una casa accogliente in una gabbia senza uscita.
Lettura critica
Misery è un romanzo sul potere e sulla dipendenza. Annie non è un demone, ma fa molto più paura perché è umana, fragile, imprevedibile. King gioca con la claustrofobia: tutta la storia si svolge quasi in una stanza, eppure la tensione cresce pagina dopo pagina.
Paul, immobilizzato, è costretto a confrontarsi con la sua carneficina letteraria e con la dipendenza dalla sua stessa creatura. Annie diventa il simbolo del fan ossessivo, ma anche della parte del pubblico che non accetta la fine delle storie. C’è una sottile ironia: lo scrittore prigioniero del suo stesso successo.
Perché leggerlo a Halloween
Perché Misery ci ricorda che i mostri non hanno sempre artigli, a volte hanno un volto sorridente, mani premurose e una risata nervosa. È un horror che non ti lascia via di scampo, perché non puoi esorcizzarlo con una croce: Annie è reale, e potrebbe bussare alla tua porta.
Curiosità
– Kathy Bates ha vinto l’Oscar come miglior attrice per il ruolo di Annie Wilkes nel film del 1990.
– Stephen King ha dichiarato che Annie rappresenta la sua personale “dipendenza”, il rapporto con droghe e alcol che lo imprigionava negli anni ’80.
– Il romanzo fu scritto mentre King stava riflettendo sul peso del successo e sul suo pubblico: Annie è sia minaccia sia metafora del legame tossico tra autore e fan.
– Il film diretto da Rob Reiner è rimasto famoso per una scena in particolare (la “hobbling”), ancora oggi considerata una delle più crude e disturbanti del cinema mainstream.





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