Ci sono libri che scelgono noi, non il contrario.
E questo è stato proprio uno di quei casi. L’avevo comprato circa un mese fa, un po’ d’istinto, mentre cercavo dei titoli per la futura biblioteca dei miei bambini. Sono libri che loro leggeranno pian piano, crescendo… sai com’è.
E questo è stato uno di quei casi. Stavo cercando una storia che parlasse d’arte ai bambini, ma senza quel tono da “adesso impariamo tutti insieme, piccoli amici”, capisci? Volevo qualcosa con ritmo, mistero, e quella finestra aperta sul passato che non somigliasse a una lezione di storia.
E, come se l’universo avesse senso dell’umorismo, proprio quando ho deciso di leggerlo, è uscita la notizia di un furto al Louvre. Una coincidenza troppo bella per lasciarla passare. Così ho colto l’occasione per immergermi in questa storia che parla proprio di questo: del giorno in cui l’arte è scesa dal piedistallo ed è scappata per le strade del mondo.
La trama e il contesto storico
Il libro di Nicholas Day parte da un fatto reale: nel 1911 la Gioconda sparì dal Louvre. Vincenzo Peruggia, un imbianchino e vetraio italiano che lavorava nel museo, entrò vestito come un normale dipendente e staccò il quadro dalla parete. Lo nascose sotto il cappotto e se ne andò, con la calma di chi porta via una baguette, non un capolavoro.
Day racconta tutto con tono avventuroso, ma intreccia alla storia del furto quella di Leonardo da Vinci, nel Cinquecento, mentre dipinge quel sorriso misterioso che secoli dopo avrebbe fatto impazzire il mondo. Le due linee narrative, l’artista e il ladro, si inseguono come due specchi che si guardano.
Il tutto sullo sfondo della Belle Époque, una Parigi luminosa, piena di fiducia nel progresso, prima della Grande Guerra. È lì che il furto arriva come uno schiaffo: persino la bellezza può sparire, persino l’arte può essere vulnerabile.
Lo stile e il movimento letterario
Nicholas Day scrive dentro quella corrente della letteratura per ragazzi contemporanea che mescola storia reale e ritmo narrativo. Il risultato è un romanzo storico dal cuore di cronaca.
Lo stile è agile, ironico, con un linguaggio diretto e pieno di piccoli dettagli curiosi. È una scrittura che si muove tra il racconto orale e il giornalismo narrativo, alla maniera di autori come Erik Larson o Lauren Tarshis, ma con un tono più intimo, quasi confidenziale.
È un esempio perfetto di letteratura di mediazione, quella che informa ma anche emoziona. Che accompagna i giovani lettori a scoprire il mondo senza “insegnare”, ma piuttosto mostrando come funziona.
Lettura con occhi teorici e sociologici
Sotto la superficie leggera, il libro nasconde domande grandi.
Perché un’opera diventa famosa? Cosa rende un quadro “il più famoso del mondo”? Prima del furto, la Gioconda era solo un dipinto importante. Dopo, diventa un mito.
È un caso perfetto da leggere con Walter Benjamin in mente: la sua idea dell’“aura” dell’opera d’arte, quell’unicità che si perde nella riproduzione. Ma qui succede l’opposto: il furto crea una nuova aura. La mancanza del quadro lo rende più presente che mai.
Il romanzo mostra anche la nascita della cultura della celebrità. La stampa di inizio Novecento trasforma il ladro in un eroe patriottico e la Gioconda in un’icona mondiale. È una riflessione sottile su come i media costruiscono il mito e su quanto il valore dell’arte dipenda dal racconto che la circonda.
La mia esperienza di lettura
L’ho letto in due pomeriggi, con quel tipo di sorriso che ti viene quando un libro riesce a essere intelligente e leggero insieme.
Mi sembrava di camminare nei corridoi del Louvre, sentendo l’eco dei passi, cercando di non farmi beccare dal custode mentre il quadro “scappava”.
E leggendo, ho pensato che la vera magia di questo libro è che non parla solo del furto della Gioconda, ma del furto della nostra attenzione. Di come una storia, un’immagine, un sorriso enigmatico possano catturare un secolo intero.
È per questo che finirà nella biblioteca di mio figlio, perché è un libro che insegna a guardare, a chiedersi perché certe cose ci attraggono più di altre, e a capire che la bellezza non si può davvero possedere, solo custodire per un po’.
Punti forti:
- Linguaggio fluido e ironico, adatto ma non banale.
- Equilibrio tra verità storica e invenzione narrativa.
- Ottimo spunto per parlare di arte, storia e curiosità.
- Invito implicito a pensare la fama e il valore dell’arte.
Punti deboli:
- Alcuni passaggi un po’ densi per lettori sotto i 9 anni.
- Alternanza di ritmo (alcuni capitoli più veloci, altri più riflessivi).
Perché lo consiglio
È una storia che trasforma il museo in un luogo vivo, la pittura in un enigma, e l’arte in un’avventura. E se penso alla biblioteca che sto costruendo per miei figlii, vorrei che fosse piena proprio di libri così quelli che non ti dicono “impara”, ma ti invitano a scoprire.





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