Ho visto Lilo & Stitch (2025) perché, tra tutti i remake che la Disney sta producendo negli ultimi anni, questo mi sembrava il più rischioso. L’originale del 2002 aveva un’anima tutta sua, era un po’ disordinato, tenero e parlava di solitudine con un accento hawaiano che mescolava spiritualità e alieni. Sembrava una favola sulla differenza, così ho voluto capire cosa succede quando un film che parlava di “non appartenere” viene rifatto ventitré anni dopo in un mondo che cerca disperatamente di appartenere a tutto.
La trama (per chi non lo ha mai visto)
La storia ruota attorno a Lilo, una bambina hawaiana di sei anni che vive con la sorella maggiore Nani, dopo la morte dei genitori. Lilo è un piccolo vulcano di energia e malinconia, ama la fotografia, il hula e Elvis Presley ma fatica a inserirsi nel mondo che la circonda. È una bambina “diversa” e la sua diversità la rende teneramente solitaria.
Nel frattempo, da un pianeta lontano, un esperimento genetico chiamato Esperimento 626, creato per distruggere tutto ciò che tocca, scappa dalla prigionia e finisce sulla Terra, precipitando proprio alle Hawaii. Lilo, senza saperlo, lo adotta in un canile e lo ribattezza Stitch.
Da lì parte una convivenza surreale e caotica tra una bambina che cerca una famiglia e una creatura che non sa nemmeno cosa significhi amare. I due imparano, passo dopo passo, cosa vuol dire “ohana”, una parola hawaiana che significa “famiglia”, ma nel senso più profondo e imperfetto del termine.
Regia e stile
La regia punta sul naturalismo delle interpretazioni e sulle texture reali delle Hawaii con una macchina da presa che respira tra un’onda e l’altra come se dicesse calma siamo ancora sulla Terra. Ci sono meno luci artificiali e più organicità e proprio questa scelta dona alla fantasia una dignità emotiva, una credibilità che rende il racconto teneramente umano anche quando sullo schermo appare un alieno blu in CGI.
Lilo & Stitch (2025) può essere letto come un dialogo tra realismo magico e realismo affettivo. Lo Stitch digitale è più reale e tangibile ma l’emozione resta il vero motore della narrazione. Il film cerca di aggiornare lo sguardo sulle Hawaii evitando la rappresentazione caricaturale e turistica del passato e scegliendo invece una prospettiva più intima e culturale radicata nella vita quotidiana locale. Questo dialoga con gli studi postcoloniali che da anni criticano l’esotismo con cui la Disney ha spesso raccontato l’altro.
Il film riflette anche un’epoca di riparazioni affettive in cui l’industria tenta di correggere gli errori del passato pur restando intrappolata nella stessa logica di mercato. Si parla di autenticità e di rispetto per la cultura nativa ma quel rispetto diventa a sua volta un prodotto da vendere. È affascinante e anche un po’ contraddittorio vedere tutto questo convivere sullo schermo come un gesto di tenerezza commerciale che nonostante tutto riesce ancora a commuovere.
Cosa è cambiato / cosa è rimasto
Rimane l’ambientazione nelle isole hawaiane, il tema della famiglia (“ohana”), il legame tra Lilo e Stitch. Ma ci sono dei cambiamenti: alcuni ruoli dei personaggi sono stati adattati e ci sono sfumature diverse nella storia, per offrire “qualcosa di nuovo” e non solo una copia esatta. Alcuni fan hanno notato che certe modifiche toccano lo “spirito” originale e io penso che sia normale, le riletture portano sempre con sé questo rischio/questo fascino.
Vale la pena guardarlo?
Sì se ami l’originale o semplicemente ti piacciono i film familiari con un pizzico di fantascienza, azione e cuore, è una buona scelta. Ma se sei molto legato alla versione del 2002 e ti aspetti la stessa identica atmosfera, ci saranno momenti in cui penserai ‘ma perché hanno cambiato questo?’.
La mia esperienza personale
Per me è stato un ritorno all’infanzia, ma con uno sguardo più attento. A volte mi sono trovata a sorridere per puro affetto, altre volte, a osservare gli inquadramenti e pensare ‘guarda come il cinema mainstream ha imparato a filmarsi con vulnerabilità’.
Stitch è ancora adorabile, certo, ma ora è anche un simbolo di come la differenza possa essere resa digitalmente senza perdere umanità. Alla fine, Lilo & Stitch (2025) non è un remake perfetto, ma è un gesto di tenerezza, un promemoria che “ohana” significa ancora famiglia, anche quando la famiglia cambia forma, consistenza, epoca. E forse è proprio per questo che, nonostante tutta la CGI del mondo, il film riesce ancora a farci piangere per una bambina e un alieno blu che vogliono solo essere amati.





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