Non è stato un colpo di fulmine dovuto a un trailer o all’algoritmo di Netflix. Limpia mi ha attirata per il titolo, forse perché da un po’ di tempo mi affascinano le storie sull’invisibile, le persone che tengono in piedi il mondo senza essere mai viste, gli affetti che vivono ai margini, le cure che non fanno rumore. Dominga Sotomayor, con la sua sensibilità tutta cilena, riesce a dare voce proprio a quel tipo di silenzio che di solito resta fuori campo.

La trama (senza spoiler)

Estela lavora come domestica e tata per Julia, una bambina di sei anni, in una casa borghese di Santiago del Cile. La trama è semplice, quasi minimale, in cui due vite separate dalla classe sociale ma unite dal quotidiano. Ciò che interessa a Sotomayor non è tanto la storia in sé ma quello che accade negli interstizi, nei gesti ripetuti, negli sguardi trattenuti, nei piccoli rituali della cura. Il film non spiega, osserva, e questa scelta lo rende ipnotico perché ogni movimento e ogni silenzio diventano una forma di linguaggio.

Regia e stile

Dominga Sotomayor lavora con la pazienza di chi sa che il tempo è materia. La macchina da presa resta ferma, la luce è naturale, i colori sono desaturati, quasi lavati, limpias appunto. Tutto respira lentamente, come se anche l’aria facesse parte della narrazione. La casa, in Limpia, è un vero e proprio personaggio, silenziosa, asettica, piena di tensione. Sotomayor filma Estela con uno sguardo politico, trasformando il suo lavoro di cura in un atto di resistenza.

Il film dialoga in modo naturale con le riflessioni di Silvia Federici sul lavoro domestico come base silenziosa del capitalismo. Estela è il corpo che lava, che pulisce, che accudisce ma anche il corpo che sente e che desidera. Limpia racconta la complessità dell’affetto quando è attraversato dal potere e dalla disuguaglianza.

Sotomayor adotta un linguaggio visivo vicino allo slow cinema, rompendo il ritmo frenetico dell’immagine contemporanea e invitando lo spettatore a un altro tipo di sguardo, più empatico e contemplativo.

Punti positivi e negativi

Positivi

  • La regia minimalista e la fiducia nei silenzi.
  • L’interpretazione intensa e trattenuta di María Paz Grandjean.
  • La capacità di parlare di temi sociali e politici senza ricorrere a toni didascalici.

Negativi

  • Il ritmo è molto lento e richiede attenzione e disponibilità alla contemplazione.
  • Si sente la mancanza di qualche dettaglio in più su Estela, la sua storia resta troppo implicita.
  • Per chi cerca una narrazione tradizionale, il finale può risultare sospeso.

La mia esperienza di visione

Il film ti chiede di fermarti, di respirare con i personaggi. Più di una volta mi sono sentita a disagio, perché quel rapporto tra chi cura e chi viene curato tocca corde molto reali. Alla fine ho avuto la sensazione di aver vissuto una sorta di purificazione, non della casa ma dello sguardo. Limpia ti obbliga a vedere ciò che normalmente passa inosservato e lo fa con una grazia che disarma.

2 risposte a “Limpia”

  1. Hai descritto il tutto così bene che sembra di vederlo e certamente mi hai fatto venir voglia di cercarlo!

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    1. Grazie, Viv, davvero! A volte ho la sensazione di non riuscire mai a dire tutto quello che un film mi fa sentire. Se lo guarderai, poi raccontami… sono curiosa di sapere come ti attraversa

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