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Avevo chiacchierato di The Good Place con quella voglia di rivedere cose che già conoscevo e che mi hanno accompagnata in momenti diversi della vita. E forse proprio per questo oggi mi è venuta la stessa nostalgia cinematografica che ti prende quando senti che un altro título merece una revisita affettuosa. Così ho pensato a Io ti salverò e mi sono lasciata guidare da quel richiamo sottile che certi film fanno quando ti toccano in un modo che non passa.
La trama
La storia si apre in una clinica psichiatrica dove Ingrid Bergman interpreta una dottoressa brillante e controllata. Arriva Gregory Peck, apparentemente un nuovo direttore dell’istituto, affascinante e fragile al tempo stesso. Ben presto si scopre che soffre di amnesia e che dietro la sua confusione c’è un mistero che lo bracca come un’ombra. Lei decide di aiutarlo non solo per professionalità ma perché intuisce una verità sepolta che lui stesso teme di ricordare. Da lì parte un viaggio fatto di indizi, sogni simbolici, colpe possibili e un amore che cresce a intermittenza, come se emergesse direttamente dal subconscio ferito dei due protagonisti.
La direzione e il linguaggio visivo
Hitchcock costruisce il film come se volesse trasformare la mente umana in un set cinematografico. Le inquadrature si avvicinano ai volti con una delicatezza che sfiora il disagio, le linee architettoniche degli ambienti sembrano suggerire percorsi mentali, e i silenzi diventano stanze dove il pubblico resta in ascolto. La sequenza onirica firmata da Salvador Dalí è uno dei momenti più iconici per il modo in cui il surrealismo entra nel cinema mainstream senza chiedere il permesso. Tutto sembra un po’ straniante, come guardare un sogno con gli occhi aperti.
Il film riflette un momento preciso della storia culturale: gli anni quaranta e l’infatuazione hollywoodiana per la psicoanalisi. La mente diventa un luogo narrativo, e la perdita della memoria un espediente per parlare di colpa e identità in un’epoca in cui la guerra aveva lasciato ferite invisibili. La prospettiva è ancora ingenua se vista con gli occhi contemporanei ma proprio per questo diventa preziosa. È un film che parla del bisogno di dare forma razionale a ciò che razionale non è e di come il cinema dell’epoca provasse a tradurre Freud in immagini comprensibili per tutti.
Punti positivi
Funziona benissimo la chimica tra Bergman e Peck, che sembra uscita da un romanzo romantico tormentato. Funziona la regia che trasforma l’interno dei personaggi in paesaggi psicologici concreti. Funziona anche la colonna sonora di Miklós Rózsa con quel theremin inquieto che fa vibrare tutto come se la storia respirasse ansia.
Punti negativi
L’aspetto più datato è il modo in cui la psicoanalisi viene trattata come una bacchetta magica capace di svelare trauma e verità in modo un po’ semplicistico. Alcuni momenti melodrammatici sembrano usciti da un romanzo d’epoca, con certe dichiarazioni enfatiche che oggi suonano troppo pulite, quasi teatrali.
La mia esperienza nel rivederlo
Rivedere Io ti salverò è stato come sedersi accanto alla me stessa del passato e notare quanto siano cambiate le domande che porto al cinema. La prima volta ero attirata dalla bellezza classica dei volti e dalla tensione della trama. Stavolta invece mi ha colpito la fragilità dei personaggi, la paura di ricordare, il modo in cui Hitchcock parla della mente come una casa con porte chiuse che non sempre abbiamo il coraggio di aprire. È un film che non smette di mutare con chi lo guarda e questo lo rende prezioso.
Io ti salverò non è solo un giallo psicologico. È un piccolo viaggio dentro l’immaginario di un’epoca, dentro le pieghe dell’inconscio e dentro la sensibilità di chi lo guarda oggi. È un film che continua a vivere perché sa intrecciare mistero, simbolismo e sentimento in un modo che appartiene solo al grande cinema.





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