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Se Piccole cose da nulla era il Natale che nasce dal silenzio, L’uomo che inventò il Natale è il Natale che nasce dal caos.
Rumore, debiti, editori impazienti, personaggi che parlano da soli nella testa dello scrittore e nel mezzo, un uomo che cerca disperatamente di dare forma a una storia che lo salvi. Charles Dickens, nel film di Bharat Nalluri, non è il genio vittoriano dei ritratti ufficiali, è un artista sull’orlo del fallimento intrappolato tra la realtà e la sua immaginazione.
Perché questo film
Ho scelto L’uomo che inventò il Natale perché è una di quelle opere che parlano di come le storie nascono, ma anche del perché ne abbiamo bisogno.
Siamo abituati a pensare a Il Canto di Natale come a un classico eterno ma raramente pensiamo a come è nato, a quanto dolore, paura e bisogno di redenzione ci siano dietro quella favola di fantasmi e generosità.
Questo film lo mostra con grazia e ironia, ricordandoci che la creazione è, prima di tutto, un atto di sopravvivenza.
Contesto storico
Siamo nel 1843, nell’Inghilterra industriale di Dickens. Le strade sono piene di bambini che lavorano, la povertà è ovunque e la parola “carità” è un lusso da salotto.
Dickens, reduce da alcuni insuccessi editoriali, decide di scrivere un libro sul Natale quando il Natale stesso, in realtà, non esiste più, è un rito dimenticato spento dal progresso e dal cinismo.
È in questo contesto che nasce Il Canto di Natale, non come racconto morale ma come ribellione contro l’indifferenza. E il film di Nalluri riesce a tradurre proprio questo spirito, non la nostalgia vittoriana ma l’urgenza di dire “siamo ancora umani”.
Scrittura e stile cinematografico
Il film gioca in modo intelligente tra realtà e immaginazione.
I personaggi del libro – Scrooge, Marley, i fantasmi – diventano presenze reali, quasi fisiche, che discutono con Dickens, lo criticano, lo provocano.
È una scelta narrativa che ricorda la tecnica del flusso di coscienza, la mente dell’autore come scena principale.
La regia di Nalluri alterna l’energia teatrale (quasi da commedia) alla malinconia dei vicoli londinesi. La fotografia calda, piena di luci tremolanti, restituisce quel senso di intimità claustrofobica tipico della Londra dickensiana. È un film che celebra l’atto stesso dello scrivere come miracolo, non di ispirazione divina, ma di pura volontà umana.
Un ritratto dell’artista come uomo imperfetto
Quello che colpisce di più è come il film mostri Dickens non come santo, ma come padre frustrato, marito distratto, egocentrico e generoso insieme.
Un uomo che cerca nel Natale non un tema, ma una redenzione personale.
Quando capisce che il suo Scrooge è il riflesso di sé, del suo egoismo, del suo orgoglio, della sua paura, la scrittura diventa una forma di confessione.
È qui che il film si fa più profondo: nel mostrare che l’arte non nasce dalla serenità, ma dal conflitto. Ogni grande storia di bontà è, in fondo, una battaglia contro il proprio lato oscuro.
Lettura simbolica
Il Natale di Dickens non è zuccherato. È pieno di fantasmi, catene, pianti e fredde stanze, ma è proprio da quella oscurità che nasce la possibilità della luce.
Il film ci ricorda che la grazia non è un dono, è una conquista e che il vero miracolo del Natale non è l’apparizione degli spiriti ma la capacità di cambiare sguardo, vedere negli altri non più un fastidio ma una promessa.
Punti positivi
- L’intelligenza narrativa nel fondere realtà e immaginazione.
- La performance di Dan Stevens (Dickens) che alterna ironia e vulnerabilità.
- La capacità di rendere la scrittura un atto visivo e drammatico.
- Il modo in cui il film restituisce lo spirito “politico” del Natale dickensiano, fatto di empatia e responsabilità.
Punti negativi
- Qualche eccesso didascalico: a volte la morale è troppo esplicita.
- Il ritmo un po’ teatrale può sembrare artificioso.
- Chi non ama le “storie sulla scrittura” può trovarlo autoreferenziale.
La mia esperienza di visione
Mi sono ritrovata a sorridere davanti alla fatica di Dickens, al suo nervosismo, alla sua ostinazione nel voler cambiare il mondo con un libro.
Non so se ci sia riuscito davvero, ma di certo ha cambiato il modo in cui raccontiamo la bontà.
E mentre i titoli di coda scorrevano, ho pensato che ogni atto creativo, se fatto con onestà, è una piccola nascita.
Forse il Natale, in fondo, è continuare a scrivere anche quando sembra troppo tardi per cambiare il finale.





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