Dopo la magia luminosa di ieri, avevo bisogno di tornare sulla terra. Ma non quella grigia del cinismo: quella piena di crepe, di ironia, di malinconie che fanno bene.
The Holdovers è un film che non ha bisogno di miracoli per parlare del Natale, gli bastano tre persone imperfette bloccate in un collegio vuoto e un po’ di tempo per conoscersi davvero.
Perché questo film
L’ho scelto perché è un film natalizio senza essere “sul Natale”. Parla di solitudini che si urtano, di affetti che nascono per caso, di quel momento dell’anno in cui il mondo si ferma e, nel silenzio, ci obbliga a guardarci allo specchio. Mi incuriosiva anche la regia di Alexander Payne, che dopo Sideways e Nebraska torna a fare quello che gli riesce meglio: raccontare la tenerezza del disincanto.
Trama
Siamo nel 1970, in un collegio del New England. Paul Hunham (Paul Giamatti) è un professore burbero e solitario, costretto a restare a scuola per sorvegliare gli studenti che non tornano a casa per le vacanze.
Tra loro c’è Angus (Dominic Sessa), brillante e arrabbiato, figlio di una famiglia complicata, e Mary (Da’Vine Joy Randolph), la cuoca del collegio, che porta addosso il lutto del figlio morto in Vietnam.
Tre persone che non hanno nulla in comune se non il fatto di essere rimaste indietro. Eppure, in quei giorni sospesi tra dicembre e gennaio, tra whisky, silenzi e vecchi film alla tv, imparano a riconoscersi.
Regia e stile
Payne costruisce il film come un ritorno al cinema degli anni ’70 con ritmo lento, colori opachi, luce naturale, grana visibile.
La fotografia di Eigil Bryld trasforma il collegio in un rifugio fuori dal tempo, un luogo dove il mondo sembra ancora poter cambiare a partire da una cena condivisa o da un gesto gentile.
È una regia che non spiega, osserva, lascia che gli attori respirino.
Temi e riflessioni
Il film parla di perdita ma anche di educazione, non quella scolastica, quella umana. Ogni personaggio è un frammento di un’America ferita, tra disillusione post-Vietnam e sogni infranti. Ma Payne non fa sociologia, la fa sentire nelle battute caustiche di Paul, nella rabbia di Angus, nella dolcezza stanca di Mary.
C’è un filo sottilissimo di spiritualità laica che attraversa tutto, non quella dei dogmi, ma quella che nasce dal riconoscere il dolore altrui. È un film che insegna senza predicare.
The Holdovers rientra perfettamente nel modello del “microcosmo chiuso” caro a Payne con poche persone, un luogo circoscritto e una trasformazione lenta. È quasi una commedia del perdono, dove il conflitto diventa il motore della tenerezza.
Punti positivi
- Interpretazioni straordinarie: Paul Giamatti e Da’Vine Joy Randolph sono di una profondità rara.
- Regia misurata, che lascia parlare i silenzi.
- Sceneggiatura piena di ironia malinconica, mai sentimentalismo facile.
- Estetica vintage curata, ma mai estetizzante.
Punti negativi
- Alcuni momenti sono volutamente lenti, una scelta coerente ma che può sembrare dilatata.
- Il tono resta costantemente sommesso, e chi cerca il “momento catartico” rischia di trovarlo troppo sottovoce.
La mia esperienza di visione
Guardarlo è stato come sedermi a tavola con sconosciuti che, poco a poco, diventano persone di cui ti importa.
Mi sono ritrovata più volte a sorridere senza accorgermene, poi a sentire un nodo in gola.
E ho pensato che forse il Natale è proprio questo: un tempo sospeso in cui non succedono grandi miracoli, ma piccole riconciliazioni.
Perché guardarlo a Natale
Perché ci ricorda che la gentilezza non è un gesto facile, ma un atto di coraggio.
E che a volte, per ritrovare il mondo, basta restare, anche quando tutti gli altri se ne vanno.





Scrivi una risposta a The Page After Cancella risposta