Ultimamente mi trovo in quella fase strana della vita in cui tutto sembra ruotare intorno al cibo e ai ricordi. Ogni colazione è una piccola cerimonia sacra, ogni pranzo una specie di nostalgia.
Avevo bisogno di un libro che non solo mi nutrisse, ma che mi facesse anche assaporare ogni parola.
Così è arrivato Estasi culinarie di Muriel Barbery tra le mie mani: una promessa di emozioni da mordere piano, da digerire lentamente.
Trama: un ultimo morso alla vita
La trama è semplice ma piena di strati, come una lasagna di memorie: un critico gastronomico di fama mondiale è in punto di morte.
Nei suoi ultimi momenti, tra un respiro e l’altro, cerca disperatamente di ricordare il sapore perfetto che ha segnato tutta la sua esistenza.
Attraverso questa ricerca, riaffiorano piatti, luoghi, emozioni, e soprattutto quel retrogusto amaro del rimpianto.
Un uomo capace di riconoscere ogni minima sfumatura di un piatto… ma incapace di gustarsi la vita e gli affetti.
Stile di scrittura: una sinestesia continua
Muriel Barbery scrive in un modo che sembra quasi una danza dei sensi. Non è solo letteratura, è quasi cucina emotiva.
Ogni parola è come un ingrediente: senti il croccante, l’acido, l’amaro, il dolce.
Però, lo ammetto, a volte si lascia andare a riflessioni filosofiche un po’ pesanti.
Momenti in cui, invece di assaporare, mi sono ritrovatə a masticare pensieri troppo astratti… quando magari volevo solo un boccone di emozione semplice.
La mia esperienza di lettura
Leggere Estasi culinarie è stato un viaggio agrodolce.
Ci sono stati momenti in cui divoravo i capitoli come si fa con una crema pasticcera rubata di nascosto… e momenti in cui fissavo il soffitto pensando “ok, Muriel, ho capito che la vita è fatta di piccole degustazioni”.
Ma alla fine, la sensazione che mi è rimasta è quella di una dolce nostalgia.
Una nostalgia per qualcosa che forse non abbiamo mai vissuto davvero, o che abbiamo inventato per non morire di fame emotiva.
Estasi culinarie non è solo un libro sul cibo.
È un libro su tutto ciò che cerchiamo di mettere nella vita per darle sapore.
E forse, il piatto principale, è proprio quello che abbiamo dimenticato di assaporare.





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