Dopo la visione radicale e luminosa di Gioacchino da Fiore, che trasformava l’Apocalisse in un manifesto spirituale di rinnovamento, è arrivato Giacomo da Lentini.
Non è un profeta, né un predicatore. Non annuncia rivoluzioni spirituali né punizioni divine. Ma ha fatto qualcosa che ancora oggi ci riguarda da vicino: ha inventato il sonetto.
E con lui, un modo nuovo di parlare d’amore, che è anche un modo di parlare di sé, della mancanza, della distanza tra ciò che desideriamo e ciò che possiamo davvero toccare.
Chi era (e perché ci interessa ancora)?
Siciliano, attivo alla corte di Federico II, Giacomo era un funzionario statale, ma con l’anima di un cantautore indie ante litteram.
Gli si attribuisce l’invenzione del sonetto, quella forma poetica compatta, elegante, che ancora oggi studiamo a scuola e leggiamo su Tumblr nei momenti di crisi.
Pensate a lui come al padre spirituale di tutti i poeti innamorati che non sanno se inviare il messaggio o morire dentro in silenzio.
La sua poetica
Giacomo scrive in un’epoca in cui l’amore è tutto tranne che fisico.
La donna amata è idealizzata, spesso irraggiungibile. Non esiste come persona reale, ma come simbolo di bellezza, grazia e perfezione morale.
Ma qui viene il trucco: non è solo romanticismo, è una forma di sapere. L’amore per lui è un modo per capire se stessi, per elevarsi.
In un mondo dove quasi tutto era miseria, l’amore era la chance di qualcosa di sublime.
Non scrive trattati, né romanzi. Solo poesie. Circa 30.
E dentro di esse, tutto un universo:
- La contemplazione della donna
- Il dolore dell’attesa
- Il desiderio come stato di grazia e tortura
- La parola come unica forma di contatto
Giacomo da Lentini, se vivesse oggi, sarebbe probabilmente un tipo silenzioso che pubblica sonetti su Instagram.
Sarebbe uno di quelli che scrivono lettere mai spedite.
O podcast sussurrati da ascoltare di notte.
Noi oggi usiamo altri strumenti, ma il meccanismo emotivo è lo stesso. Idealizziamo, desideriamo, soffriamo in modo elegante. E a volte ci innamoriamo dell’idea dell’altro, non dell’altro in sé. Esattamente come Giacomo.
Giacomo da Lentini ci parla da un tempo lontano, ma non ci sembra poi così diverso.
Leggerlo oggi è come leggere se stessi in un altro secolo.





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